martedì 23 luglio 2013

Pipponi estivi

Dopo qualche giorno di totale assorbimento lacustre, eccoci rientrati a casa. E bisogna dirlo, Berna d’estate è bellissima. E’ come se tutti si fossero finalmente scrollati di dosso la brina invernale impossessandosi all’improvviso di una voglia pazza di fare, giocare, gridare, nuotare e a volte anche cantare.
Insomma è come ci fosse nell’aria una pazza voglia di vivere. Cosa non da poco nella sonnacchiosa Berna, credetemi.


Ed è proprio in questa Berna su di giri che il bebito sta subendo una trasformazione: Il bebito che era sta lasciano piano piano spazio al bambino che sarà, e il bebé che fino a poco tempo fa condivideva il nostro letto, sta lentamente (ma nemmeno poi tanto) sparendo. E’ una cosa un po’ strana, anche se si chiama crescita, una roba che succede a tutti, niente di trascendentale. Però quando la vedi da vicino, questo crescita...

Avere un bambino è una gran fatica, e questo credo si sia capito. La vita che cambia, i ritmi che si riassestano, il dover pensare per lui quando a malapena ce la fai a pensare per te. Eppure è l’opportunità che ti da la natura di rimetterti in discussione, di tirare fuori le tue forze, di riassestare le tue idee, i tuoi ritmi e tutto quello che sei e che vorresti essere. E se tutti i genitori del mondo potessero seguire quello che ci dice la natura nel loro essere genitori, senza pensare a regole e alla cosiddetta educazione, ascoltando solo quello che dice la pancia! Che mondo migliore sarebbe questo qui! Perché in fondo la nostra pancia sa sempre quello che è giusto e quello che è sbagliato. E l’amore, si sa, è tutta questione di pancia.

E così mi ritrovo a pensare che mentre il nostro bebito cresce , noi ci lasciamo “toccare” dalla sua crescita, ci lasciamo cambiare. E diventiamo ogni giorno persone migliori. Ebbene sì, lasciatemelo dire, e dimentichiamoci la modestia, per una volta.

A volte mi fermo a riflettere su quanto io sia cambiata in quest’ultimo anno, su quanto io sia diventata più tollerante, più aperta, più interessata. A quanto ho letto, a quanto mi sono informata. A quanto ho imparato. Ho imparato soprattutto a soppesare le cose, a capire quali sono i problemi e quali non lo sono. E così mi capita di osservare gli altri, quelli che mi stanno intorno, e mi sembra di viaggiare su altri binari, a un'altra velocità.

Guardiamoli bene questi bambini, “Abbassiamoci” al loro livello, guardiamoli negli occhi. Approfittiamo di tutta la loro conoscenza e lasciamoci cambiare. E’ tutto di guadagnato.

Questo pippone estivo l’ho scritto giusto per dirvi che vista la splendida estate bernese, sarò un po’ latitante di questi tempi (ma si era già capito, o no?). E voi che mi seguite, vi prego perdonatemi! Torneranno le tristi giornate di freddo e pioggia, non temete.

E’ che tra l’orto (che cresce rigoglioso, comprese le sue erbacce), tra il bebito (che appena mi accingo a scrivere qualcosa al computer se ne arriva quatto quatto, pigiando tutti i tasti e mandando tutto in tilt), tra la casa (che è sempre un casino…e vabbé), tra il lavoro (che sì c’è anche quello), il tempo che mi resta è veramente poco, poco. Però non sparisco, eh! Io ci provo!


Intanto godetevi l’estate. E se siete intrappolati in città, inforcate gli occhiali da sole, piazzatevi davanti al ventilatore e mettete la seguente canzone a manetta.


mercoledì 10 luglio 2013

Pediatri che passione


Oggi sono stata dal pediatra. Ora, in una vita da mamma, l’avvenimento è tutt’altro che straordinario. Io però vi assicuro che ogni volta che ci vado faccio delle esperienze ai confini della realtà.

Noi mamme “natural” o sostenitrici del maternage, o mamme devote all”attachement parenting” o chiamatecicomevipare (oddio, detto così pare una setta! Era solo per farvi capire) abbiamo questo rapporto difficile con i pediatri, cosa ci possiamo fare. Una sorta di amore – odio. Più odio che amore.  Cioè, dipende dal pediatra.  Perché se pensiamo a tipi come il dottor William Sears, come Lucio Piermarini o come Carlos Gonzales, allora è ammmmore, con la A maiuscola. Se invece parliamo di pediatri più, diciamo così, convenzionali, allora no. Insomma, avete capito.

So che ci sono mamme blogger più brave di me. Ci sono mamme blogger che lottano con le unghie e con i denti. Lottano contro cosa? Vi starete chiedendo.
Lottano contro il loro pediatra, ovviamente. Lottano contro le sue tabelle d’introduzione di cibi, contro le sue pesate, contro l’antibiotico facile, facile, contro i vaccini, contro i suoi consigli strampalati sull’allattamento. Che ci vanno a fare, allora?  Eh, bella domanda. Dal pediatra si va, come si va dal dottore. Della serie, ci vado quando sto male. Poi da qui a considerarlo il padre eterno, a mio modo di vedere, ne passa. E poi trovare dei medici come i sopracitati non è mica semplice. Nel nostro caso ci siamo presi quello che passava il convento.

venerdì 5 luglio 2013

Basta un poco di zucchero e la pillola va giù...


Il mio rapporto con la medicina alternativa è iniziato molto tempo fa.

Io sono cresciuta con i miei nonni, i quali, da buoni nonni, facevano largo uso di rimedi popolari (altresì detti “della nonna”, appunto). E’ impossibile dimenticare i litri di tisana alla malva o al finocchio che ho dovuto trangugiare da bambina e l’odore dell’aceto che mi veniva messo in fronte per abbassare la febbre. E non posso nemmeno dimenticare che per qualsivoglia problema il “met sü un po’ da grapa” (mettici un po’ di grappa) era d’obbligo. In pratica, dalle mie parti, era buona abitudine avere una bottiglia di grappa in casa, da usarsi all’occorrenza, proprio come se fosse un farmaco (digestivo, disinfettante, contro strappi o dolori muscolari, per le punture d’insetti).
Mia nonna, che era anche solita soffrire di torcicollo, artrite e altri disturbi di tipo muscolare, oltre a questi metodi casalinghi, si affidava di tanto in tanto a una sua amica, una di quelle che “metteva le mani”. In pratica “la guaritrice” sosteneva di avere un “dono” e di essere in grado di lenire il dolore appoggiando le mani sulla parte malata del “paziente”. Di queste “guaritrici” ce n’erano molte nei nostri paesi e tutti, più o meno, conoscevano almeno una persona dotata del “dono delle mani”. La cosa, naturalmente, suscitava in me bambina un grandissimo fascino, un’attrazione dovuta a quel non so che di magico e misterioso.
Ci tengo a precisare che questa sua amica non era né una maga, né una fattucchiera, né una Vanna Marchi d’altri tempi. Era semplicemente una signora come tante altre, una si metteva gratuitamente a disposizione degli altri perché, appunto, aveva questo “dono”.
Mia nonna era fermamente convita del funzionamento della terapia “delle mani”.
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