sabato 30 giugno 2012

L'angolo della poesia - I figli

I Figli 
di Kahlil Gibran


E una donna che stringeva un bambino al seno disse: 
Parlaci dei Figli

Ed egli rispose:

Sono lo strumento perfetto del divino: l’espressione vivente forgiato dal suo unico "pensiero".
E i figli sono le risposte che la vita dona ad ognuno di noi.
Sono loro l’essenza del vostro sorriso.
Sono sangue e carne della vostra carne
ma non il vostro sangue e la vostra carne.
Loro sono i figli e le figlie della fame che la vita ha di se stessa.
Attraverso di voi giungono, ma non da voi.
E benché vivano con voi, non vi appartengono.
Affidategli tutto il vostro amore ma non i vostri pensieri:
Essi hanno i loro pensieri.
Potete offrire rifugio ai loro corpi ma non alle loro anime:
Esse abitano la casa del domani, che non vi sarà concesso visitare neppure in sogno.
Potete tentare di essere simili a loro, ma non farli simili a voi:
La vita è una strada che sempre procede in avanti e mai si ferma sul passato.
Voi siete gli archi da cui i figli, come frecce vive, sono stati scoccati in avanti.
È l’Arciere che guarda il bersaglio sul sentiero dell’infinito e vi tende con forza affinché le sue frecce vadano rapide e lontane.
Affidatevi con gioia alla mano dell’Arciere;
Poiché come ama egli il volo della freccia, così ama la fermezza dell’arco.


mercoledì 27 giugno 2012

Il maternage


Ma che cos'è il maternage?
E' l'insieme di cure amorevoli che una mamma ha per il suo bambino, basato su un approccio "ad alto contatto", in linea con la natura.
Perché ogni mamma fa del suo meglio per fare del suo bambino una persona felice.
E' parte del maternage riconoscere che gli essere umani vengono al mondo con dei bisogni fondamentali, non da ultimo il bisogno di essere protetti e amati.

lunedì 25 giugno 2012

i bambini cattivi e la natura dell'uomo



I primi mesi di gravidanza, come ho già detto, sono stati un tantino stressanti e contraddistinti da mille paure. Passate le paure "fisiche" siamo passati ai timori emotivi: sarò in grado di essere madre? e la mia vita non cambierà "troppo", non sarà troppo faticoso? e se poi essere madre non mi piace? e se mi viene la depressione? e via di questo passo.
Naturalmente questo tipo di reazione può dirsi normale e comune a quasi tutte le neomamme (vuoi gli ormoni, vuoi il grande cambiamento che sta per avvenire e che spaventa sempre un po'), ma sta di fatto che al momento ci si prende male. In più non si è certo aiutati dall'ambiente circostante. Sembra infatti che tutti ci tenessero a dirmi che "è durissima" e che poi "vedrai" e che "piangono sempre", e che "hai fatto bene a tagliarti i capelli che poi non avrai nemmeno il tempo di pettinarti". Insomma mi sembrava di essere circondata da terroristi della maternità. E allora mi sono chiesta, c'é un modo per vivere nonostante un figlio? (E a pensarci oggi mi rendo conto di quanto cretina fosse questa domanda. Perché esistono modi per vivere con un figlio non nonostante un figlio).

domenica 24 giugno 2012


Noi non veniamo dalle stelle o dai fiori, ma dal latte materno. Siamo sopravvissuti per l’umana compassione e per le cure di nostra madre. Questa è la nostra principale natura. 
Dalai Lama

sabato 23 giugno 2012

L'angolo della poesia e il tempo delle madri



Ho trovato qualcuno che la pensa come me. Lui però l'ha messa giù un po' meglio

Questo è il tempo delle madri
di Erri de Luca

Il genere maschile è invidioso della potenza femminile di generare. Si è ritagliato per sé il potere, la guerra, la politica, spazi di governo minori di fronte all'immensità di fare nascere.
Il femminile riproduce l'opera della creazione, l'uomo ne è l'appendice. Nella scrittura sacra si danno casi di gravidanze salve dal contributo maschile. Isacco, Sansone, Gesù sono celebri nascite inseminate.  A volte l'uomo non è servito neanche a quello.
Il più invidioso fu Socrate che volle usurpare l'opera femminile. In greco "maieutica" è l'arte della levatrice. Se l'attribuì dicendo che lui aiutava gli uomini a partorire qualche idea, un pensiero. Chiamò maieutica la sua filosofia. Che misera riduzione del termine: in campo maschile generava un po' d'aria riscaldata, una flatulenza cerebrale.
Nascere è lavoro di donne. E' il travaglio di due vite che si separano per riafferrarsi subito, per attaccarsi e riparare il taglio con abbracci, succhiate. L'ombelico è il nodo di sutura del distacco più violento, una cicatrice irreparabile. Resta fuori da questa forza la natura dell'uomo, a lui spettano i paraggi di una protezione, di un sostegno, di una provvidenza.
Questo, fermato da uno schizzo di luce sopra un fotogramma, è il tempo delle madri. Scorre da età infinita in mezzo al loro cerchio. E' frutto di espulsione, di forze addominali che scacciano all'aperto a boccheggiare nella miscela di azoto e ossigeno, verso mani che estraggono dallo spalancamento il grido e affanno e schianto di sollievo, a capofitto, a occhi chiusi, a sangue dappertutto e sia benedetta l'ora di arrembaggio della vita, l'ora del più sfrenato dei tumulti. Nessuna morte è dura come il punto di nascere.  Ecco le madri, le levatrici, la macchina che rinnova il mondo, indifferente a guerre, terremoti, incendi, cataclismi.
Niente la ferma, niente l'ha fermata. Opera a catapulta, scaraventa vita nel pianeta, consola e dispera, strappa e aggiunge, e attraverso di lei siamo l'umanità.



venerdì 22 giugno 2012

Sull'emancipazione


Parliamoci chiaro: la maternità pare non avere aiutato molto il nostro sesso. Sembra che essere donne e essere anche madri comporti delle rinunce, prima fra queste la rinuncia ad una carriera professionale. Non mi dilungherò troppo su questo specifico argomento, ma quale uomo viene messo davanti all'orribile quesito "vuoi avere dei figli oppure vuoi una carriera professionale soddisfacente? Scegli!".
Credo che già mettere una donna davanti alla scelta sia piuttosto discriminatorio. Ma voi direte, i figli li fanno le donne e da lì non si scappa. Ne deduco quindi che la capacità di procreare di generare dei bambini sia considerata, e sia stata considerata, una sfiga.

giovedì 21 giugno 2012

I grossi rischi della tetta selvaggia


Nel mio post precedente credo che si sia capita la mia posizione riguardo "la Tetta". Ora, essere fedeli a questa linea (quella dell'allattamento a richiesta e prolungato, quella dell'offrire il seno anche come nutrimento affettivo) pare comporti dei grossi rischi, almeno a detta di molti. Vediamone alcuni:

Considerazioni sull'allattamento

Un altro tassello importante nella mia preparazione alla maternità è stata quella di informarmi il più possibile sulla tematica allattamento: dai siti internet, passando per la leche league ho cercato in tutti i modi di trovare delle risposte, in sostanza di capirci qualcosa. Mi sono stupita di quanto poco ne sapessi (e non solo di allattamento ma di maternage in generale). E mi si è aperto un mondo di idee interessanti...è stata un po' una svolta durante la mia gravidanza (della svolta parlerò più avanti).
Insomma dopo numerose letture ho trovato un equilibrio e mi sono trovata ad essere impaziente di provare a mettere tutto in pratica.

mercoledì 20 giugno 2012

Del parto naturale. Anzi del mio parto naturale


Le parteras in una foto di Danilo De Marco

La mia preparazione al parto è iniziata quando ero incinta di circa 12 settimane. Anzi...la mia prima idea di parto è nata molto, molto prima quando ancora ero una studentessa ben lontana dall'idea concreta di diventare madre. Uno dei miei primi lavori post universitari (e per lavori, intendo lavori "interessanti" quindi escludo le promozioni, il volantinaggio eccetera, eccetera) è stato quello di occuparmi della guardiania, dell'apertura e della chiusura di una mostra fotografica dal titolo "madri e co-madri sapienza ed arte", un'esposizione di Danilo De Marco che aveva come tema centrale le "parteras". Chi sono le parteras? sono levatrici andine, un po' ostetriche e un po' sciamane, che aiutano le donne a partorire nelle condizioni più estreme dell'alta montagna, operando tra i 2600 e i 4000 metri di altitudine. Sono donne che aiutano altre donne, con saperi antichi e rituali ormai perduti, seguendo le leggi della natura e  arrivando là dove possono arrivare, poiché molte donne andine e indigene partoriscono comunque senza nessuna assistenza.
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